«…E quindi uscimmo a riveder le stelle»: quando l’arte diventa ambasciatrice del diritto alla bellezza

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Seeing stars_2021

di Marina Manuela Cafà

Quando la magia della notte ci regala lo spettacolo degli spettacoli e il nostro sguardo si perde tra miliardi di astri, costellazioni e galassie, sbocciano in noi pensieri ed emozioni di meraviglia, stupore, grandezza e mistero. E un desiderio infinito di assoluto ci coinvolge, mentre contempliamo la più grande meraviglia del Creato. Non è un caso che il termine desiderio, uno tra i più affascinanti che si possano incontrare attraverso lo studio dell’etimologia, rimandi proprio alle stelle: dal latino de-sidus (de prefisso privativo, “senza”, e sidus “stella”) che letteralmente vuol dire “mancanza di stelle”, ovvero “condizione in cui sono assenti le stelle”: così, per estensione, il vocabolo assume la valenza di un sentimento di ricerca appassionata di ciò di cui si è privi e a cui si anela, che tende ad alimentare sogni ed ideali.  

Sin dalle radici della storia le stelle hanno rappresentato un riferimento fondamentale per l’essere umano, che ha rivolto gli occhi al firmamento per ammirarne la bellezza, ha cercato di leggere e interpretare nella volta celeste lo scopo della propria vita, ha utilizzato le costellazioni come indicatori naturali dello scorrere del tempo e delle attività agricole e come mezzo per l’orientamento, guidando il cammino dei viaggiatori. Tra i più famosi ricordiamo i Magi, sacerdoti dello zoroastrismo persiano, studiosi e osservatori del cielo e degli astri, che secondo il racconto dell’evangelista Matteo raggiunsero Gerusalemme seguendo una stella inconsueta, una cometa, che secondo loro annunciava la nascita del Messia. Lo trovarono a Betlemme, dove la stella si era fermata: «Dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo» (Matt. 2, 2).

Anche il mitico Ulisse, come ci racconta Omero nell’Odissea, intraprese il suo viaggio di ritorno seguendo una rotta che si basava sulla posizione dell’Orsa Maggiore, da tenere sul lato sinistro insieme alla costellazione di Boote, mentre le Pleiadi si dovevano trovare sulla destra. 

I più grandi poeti e filosofi hanno lasciato che il cielo notturno influenzasse le proprie creazioni, consegnandoci versi e testi memorabili: «Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle, in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle» (Cantico delle creature, vv. 10-11), scriveva San Francesco d’Assisi, patrono d’Italia, ringraziando il Signore per il cielo stellato nel primo componimento poetico in lingua italiana; Dante Alighieri concludeva ciascuna delle tre Cantiche della Divina Commedia sempre con la parola “stelle” e, con il celebre verso «…E quindi uscimmo a riveder le stelle» (Inf. XXXIV, 139), indicava la fine del suo percorso tra i tenebrosi gironi infernali; Leopardi si immergeva in dialoghi con la costellazione dell’Orsa Maggiore, «Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea |Tornare ancor per uso a contemplarvi |Sul paterno giardino scintillanti, |E ragionar con voi dalle finestre…» (Le ricordanze, vv. 1-4); Pascoli vedeva nelle stelle il pianto dell’universo sulla malvagità degli uomini, «E tu, Cielo, dall’alto dei mondi |sereno, infinito, immortale, | oh! D’un pianto di stelle lo inondi | quest’atomo opaco del Male!» (X Agosto, vv. 21-24); Ungaretti nella poesia Stelle rifletteva sull’importanza dei sogni, della speranza e dei nuovi inizi: «Tornano in alto ad ardere le favole. |Cadranno colle foglie al primo vento. |Ma venga un altro soffio, | ritornerà scintillamento nuovo». Schiller nel suo Inno alla gioia, celebre ode resa immortale da Beethoven, poneva al di sopra delle stelle «un caro Padre» e, tra i filosofi, Kant concludeva la Critica della ragion pratica con la nota riflessione, divenuta anche il suo epitaffio, «due sono le cose che riempiono sempre l’animo di meraviglia: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me». 

Come dimenticare il viaggio interplanetario compiuto dal protagonista del commovente romanzo di Antoine de Saint-Exupéry Il Piccolo Principe del 1949, e le sue celebri frasi sulle stelle: «Gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per gli uni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. […] Quando tu guarderai il cielo, la notte, visto che io abiterò in una di esse, visto che io riderò in una di esse, allora sarà per te come se tutte le stelle ridessero. Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere! […] E mi piace la notte ascoltare le stelle. Sono come cinquecento milioni di sonagli. […] Se ami una rosa che sta su una stella, di notte è bello guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite».

Nella tradizione cristiana la bellezza della natura e del cielo è il segno per eccellenza della grandezza del Creatore, come si legge nel Libro della Sapienza «dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (Sap. 13,5), principio e fine di ogni cosa e artefice dell’architettura dell’universo: «I cieli narrano la gloria di Dio, l’opera delle sue mani annuncia il firmamento…» (Salmo 19, 2). La bellezza del cosmo nella Bibbia, infatti, non è contemplata in senso “romantico”, ma è sempre vista come il frutto di un progetto logico, ordinato e armonico del Padre creatore. 

«Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno, la luce minore per regolare la notte, e le stelle» (Gen. 1, 16): creazione del quarto giorno assieme al sole e alla luna, le stelle sono state comparate dalsegretario del profeta Geremia, Baruc (“Benedetto”), nel suo inno alla Sapienza, a sentinelle che hanno ricevuto dal loro Creatore una collocazione precisa nelle immense regioni del cielo: «Le stelle brillano dalle loro vedette | e gioiscono; | egli le chiama e rispondono: “Eccoci!” | e brillano di gioia per colui che le ha create» (Baruc 3, 34 – 35). Il Creatore, come un sovrano e comandante supremo, le chiama per nome ed esse si mettono quasi sull’attenti e rispondono attestando la loro presenza: «Eccoci!». E il loro brillare vivido è segno di gioia per l’incarico che hanno ricevuto. 

La magia del cielo notturno è stata immortalata nella storia dell’arte fin dall’età del bronzo: il Disco di Nebra, una piastra in bronzo di 32 cm di diametro con applicazioni in lamina d’oro, rinvenuta in Germania nel 1999 e risalente al 1.600 a.C. è, probabilmente, una mappa stellare. Gli oltre 3500 metri quadrati del soffitto della Tomba della regina Nefertari (1295-1255 a.C.), moglie del faraone egizio Ramses II, presso la Valle delle Regine, sono dipinti con un cielo stellato di colore blu intenso.        

Il mondo classico ci ha consegnato qualche frammento fittile d’epoca greca che mostra il dio Eosforo “portatore dell’alba” accompagnato da qualche sporadica stella, mentre grandi cieli stellati rivestono le volte di capolavori dell’arte bizantina come il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (della prima metà del V secolo), la cui cupola è interamente coperta da 570 stelle dorate disposte in cerchi concentrici 

Interamente dipinta di blu oltremare, colore associato alla sapienza divina ottenuto con preziosa polvere di lapislazzuli, con stelle dorate a otto punte leggermente in rilievo, è la volta a botte della Cappella degli Scrovegni a Padova, affrescata da Giotto intorno al 1300. E ancora, le mirabili volte della Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, quelle della Cattedrale di Siena e del Duomo di San Gimignano sono dipinte con suggestivi cieli stellati che incantano chiunque le osservi.

Un immenso cielo stellato dipinto ad affresco da Piermatteo d’Amelia tra il 1479 ed il 1480, avvolgeva anche lo spazio della Cappella Sistina prima dell’intervento del Buonarroti, come dimostra un disegno preparatorio dello stesso d’Amelia custodito agli Uffizi (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, disegno di architettura n. 711).

Dal Seicento in poi i mistici cieli stellati d’epoca medioevale non sono più così presenti nelle volte delle chiese, che lasciano spazio a stucchi ed affreschi, e li ammiriamo in ambiti diversi come nella scenografia teatrale: è celebre il grande fondale del Salone delle stelle nel palazzo della Regina della Notte realizzato nel 1815 da Karl Friedrich Schinkel per il Flauto Magico di Mozart.

Tra i cieli stellati più famosi nell’arte vi è anche la celeberrima Notte stellata di Van Gogh, dipinta all’alba del 19 giugno 1889 dall’ospedale Saint-Rémy de Provence, quando il pittore poteva vedere all’orizzonte la luminosa “stella del mattino”, cioè Venere (l’astro più in basso con un grande alone bianco).

Van Gogh confidò che la speranza risiedeva nelle stelle e le sue tante raffigurazioni notturne nascevano appunto da «un bisogno tremendo di religiosità, per questo alla sera vado fuori e dipingo le stelle», così scriveva nel 1888 in una lettera al fratello Theo.

Se l’arte di ogni tempo ha celebrato l’incantevole volta celeste, oggi sono sempre più sporadiche le occasioni per contemplarla ed emerge forte, e da più parti ormai, l’esigenza di recuperare il contatto visivo con il cielo trapunto di stelle, diventato progressivamente sempre meno accessibile a causa dell’inquinamento luminoso (viene considerato “inquinato” il cielo con un livello di luminosità artificiale tale da oscurare le osservazioni astronomiche, e recenti studi scientifici hanno dimostrato che circa l’80% del pianeta non presenta più lo stesso cielo notturno di trenta o quaranta anni fa). Quanta bellezza è, così, nascosta ai nostri occhi, anche nei piccoli centri, da lampioni, insegne luminose e fari di ogni tipologia, che sottraggono al cielo il suo colore autentico e rendono più impercettibili i suoi astri!

Ci sentiamo tutti un po’ più orfani senza stelle, privati del diritto inalienabile alla bellezza, al cui tema Irene Baldriga (Presidente Nazionale A.N.I.S.A.) ha recentemente dedicato ampio spazio: «il diritto alla bellezza è il diritto di accedere ad una condizione di profondità interiore che l’opera d’arte [in questo caso, la meraviglia della natura che è il cielo stellato] può accompagnare, stimolare e può aiutare a comprendere. Il diritto alla bellezza, dunque, consente l’accesso ad una condizione superiore di sensibilità, di profondità emotiva, che è parte della persona e può contribuire alla formazione del cittadino». 

Sembra di sentire l’eco delle parole di Peppino Impastato sul valore della bellezza nelle nostre vite, intesa come forte motivo di consapevolezza democratica e civica:

«Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore» (Peppino Impastato, dal film I cento passi).

Per questo motivo, grande plauso e coinvolgimento mediatico ha ricevuto «Seeing stars», la recente iniziativa promossa dal designer olandese Daan Roosegaarde in collaborazione con Unesco Netherlands,che il 14 dicembre del 2021 ha visto spegnere tutte le luci artificiali della cittadina di Franeker, in Olanda, per godere della luce naturale più bella del mondo, quella del cielo stellato, per lanciare l’allarme relativo all’eccesso di luminosità e per reclamare il diritto universale alla bellezza, infatti Unesco Netherlands mira a riconoscere le stelle come una forma di “patrimonio universale”. 

Così, spenti lampioni, insegne luminose e luci all’interno delle case, «Seeing stars» ha inteso rilanciare il senso di connessione tra le persone, recuperare il benessere psico-fisico (perché l’esposizione alla luce notturna è un fattore di stress del meccanismo di regolazione sonno-veglia e causa disturbi all’umore) e contribuire alla salute degli ecosistemi, che è basata sull’essenziale alternanza luce-buio. L’iniziativa sarà riproposta prossimamente anche in altre città europee: è veroil progresso è un treno in corsa che non si può fermare, ma proprio per questo abbiamo ancor più bisogno nelle nostre vite di continuare a stupirci innanzi agli spettacoli che la natura ci regala – «Io continuo a stupirmi. È la sola cosa che mi renda la vita degna di essere vissuta», scrisse Oscar Wilde in A Woman of no Importance del 1893 – e di nutrire la nostra dimensione spirituale alimentando il nostro desiderio di infinito anche alzando gli occhi al cielo.

Cosa tiene accese le stelle se non il nostro desiderio di infinito e di eternità che Dio ha riposto nei nostri cuori? Come scrisse il re Salomone: «Egli ha fatto ogni cosa bella nel suo tempo; ha persino messo l’eternità nel loro cuore» (Ecclesiaste 3:11).

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