La Klimt Expercience a Palazzo Marchesi Campanari di Veroli

by Olga Concetta Patroni
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Dal 18 dicembre e fino al 20 febbraio 2022, il Palazzo Marchesi Campanari, dimora storica recentemente entrata a far parte del patrimonio del comune di Veroli, paese in provincia di Frosinone, ospiterà la Klimt Experience, celebre mostra immersiva prodotta dalla Crossmedia Group di Firenze.

Questa experience, ovvero mostra multimediale e immersiva, è stata progettata dalla Crossmedia Group nel 2016 e da quel momento ha viaggiato in Italia e nel mondo. Si tratta infatti di una mostra itinerante che è stata ospitata a Firenze, Caserta, Milano, Roma e Napoli, arrivando anche a Locarno e Shanghai.
La Klimt Experience è una delle prime mostre immersive e multimediali diffuse in Italia ed è un modello di esposizione che punta alla narrazione “totalizzante” di Klimt e delle sue opere, in un percorso che alterna reale e digitale. Lo stesso format è stato replicato per altre mostre, prodotte sempre dalla casa fiorentina, e dedicate ad altri grandi nomi dell’arte tra cui Magritte, Dalì, Caravaggio e Van Gogh.  All’interno di questi percorsi espositivi non sono presenti opere originali, le experience si basano sulla multimedialità e sull’immersività che contribuiscono a creare un “ambiente digitale” all’interno del quale lo spettatore viene totalmente assorbito. La multimedialità, infatti, implica la creazione di un’esperienza non solo visiva ma sensoriale, che coinvolge anche l’udito e l’intera percezione dello spettatore. In questo modo sono catturati tutti i sensi del fruitore e ciò contribuisce a rafforzarne il coinvolgimento emotivo, ottenendo un effetto di rapimento che viene chiamato immersività.         
Questo termine definisce la sensazione di totale coinvolgimento che il fruitore prova, in senso sia fisico che emotivo, all’interno di una experience o di un evento performativo, è una sensazione dovuta all’interazione tra lo spettatore e lo spazio circostante. Le mostre immersive, infatti, si svolgono all’interno di ambienti allestiti in modo da eliminare la percezione dello spazio “reale” allo scopo, appunto, di immergere il fruitore in una dimensione “altra”, creata attraverso la tecnologia.

Nelle sale del Palazzo Marchesi di Veroli, il percorso è stato allestito in modo da coinvolgere il pubblico a diversi livelli creando un’esperienza che dura all’incirca un’ora.           
Il primo spazio al quale si accede è una sala multimediale delimitata da quattro alte pareti bianche sulle quali vengono proiettate immagini in movimento. Le stesse immagini vengono proiettate anche sul pavimento, rafforzando la sensazione di immersività che tuttavia resta incompleta, in quanto la parte alta della sala non è chiusa ma lascia intravedere la volta di una delle stanze di Palazzo Marchesi Campanari interrompendo la connessione tra l’allestimento multimediale e lo spettatore.
Le immagini, che ripercorrono la storia e la carriera di Gustav Klimt raccontando le sue opere e soffermandosi anche sulla storia della Secessione Viennese, sono accompagnate da un tappeto musicale perpetuo composto da musiche d’epoca secessionista.

Uscendo dalla sala multimediale, si accede a una seconda stanza in cui sono allestite alcune postazioni per la Realtà Virtuale. In questa sala è messa a disposizione dei fruitori una serie di visori Oculus Samsung Gear. Una volta indossato il visore, il fruitore si trova all’interno di una galleria virtuale sulle cui pareti sono esposte alcune riproduzioni di opere di Klimt. Sebbene il fruitore si trovi in realtà seduto su uno sgabello all’interno di Palazzo Marchesi, grazie al visore viene immerso in uno spazio completamente navigabile, che lo lascia libero di orientare lo sguardo ovunque esplorando tutta la sala virtuale.          
Quando il visore viene puntato sui quadri all’interno della galleria virtuale è possibile “entrare” nelle opere in 3D del maestro della Secessione. Alcune delle opere sono infatti riprodotte all’interno dell’ambiente virtuale come se non fossero più quadri, ma grandi ambienti nei quali il fruitore è immerso completamente.
Ad esempio, osservando con il visore la riproduzione dello Schloss Kammer sull’Attersee III, olio su tela realizzato da Klimt nel 1910, il fruitore non si trova più “davanti” al quadro ma “al suo interno”, dove può vedere l’acqua e le fronde degli alberi agitarsi a un vento lieve sotto un cielo azzurro in cui nuvole bianche si spostano leggere. Allo stesso modo, osservando altre opere, l’osservatore può trovarsi immerso in un turbinio di immagini in movimento o all’interno di una stanza infuocata.

La riproduzione dell’opera Schloss Kammer attraverso il visore

La sala multimediale e la Realtà Virtuale trascinano il fruitore in tripudio di ori e di colori che forma una esperienza visiva e sensoriale che rende l’osservatore parte delle opere stesse.
L’ultima parte del percorso è stata allestita in un piccolo corridoio sulle cui pareti sono esposte riproduzioni di alcuni dei più celebri dipinti dell’artista.

Ciò che manca alla Klimt Experience, e in generale alle mostre multimediali e immersive similmente strutturate, è la narrazione. È certamente vero che il fruitore si trova coinvolto emotivamente e visivamente; tuttavia, le informazioni che lo inondano sotto forma di spettacolari immagini in movimento sono avvolgenti ma prive di significato.           
Bisogna avere una conoscenza già consolidata dell’argomento “Klimt” per sapere che all’interno della sala multimediale le opere scorrono davanti ai nostri occhi seguendo cronologicamente le varie fasi della pittura del Maestro. Così come è necessaria una certa consapevolezza per riconoscere nel tappeto musicale la Sinfonia n° 9 di Beethoven e per ricollegarla alle immagini del Fregio di Beethoven, dipinto da Gustav Klimt all’interno del Palazzo della Secessione nel 1902.   

Non bisogna, perciò, cadere nell’errore di intendere questo tipo di manifestazione come equivalente alla fruizione diretta delle opere d’arte, né come sostitutivo di percorsi di studio e di approfondimento.           
Manifestazioni come la Klimt Experience, e più in generale l’uso della tecnologia per la comunicazione dei beni culturali, sono strumenti utili per rispondere alle esigenze di un pubblico contemporaneo sempre più attratto da esperienze di fruizione “immersiva”, “virtuale”, “multimediale” e “interattiva”.

Essendo priva di tutte le caratteristiche che connotano la fruizione musale, prima fra tutte la mancanza delle opere originali, la Klimt Experience non vuole sostituirsi alla conoscenza delle opere originali ma si configura come un tramite fra il grande pubblico e la scoperta delle opere.     
Ricorrendo alla Realtà Virtuale, ad immagini ad alta definizione e al coinvolgimento sensoriale, l’experience mira a comunicare contenuti ad un pubblico per lo più abituato all’informazione digitale e sempre alla ricerca di un coinvolgimento maggiore.         
Lo scopo finale di questo tipo di allestimento deve essere quello di suscitare l’interesse del pubblico per poi invitarlo e guidarlo allo studio e alla fruizione dei manufatti artistici originali, e quindi verso una conoscenza dell’arte autentica, non mediata dall’uso della tecnologia.      

Allo stesso modo, diventa importante, però, non intendere la tecnologia come usurpatrice di un ruolo di divulgazione che spetta ai musei e ai luoghi della cultura. Infatti, come nei suoi precedenti allestimenti, anche a Veroli l’experience ha attirato un vasto numero di visitatori riuscendo a rivolgersi al pubblico delle più diverse fasce d’età e attirando anche famiglie e giovani, richiamati dalla dimensione ludica e interattiva della mostra.       

Ciò che si può apprendere da questo tipo di eventi è che arte e tecnologia, così come mostre ed experience, sono due facce della stessa medaglia, due strumenti da non intendere come opposti ma come complementari. In un momento storico che ci ha imposto di restare chiusi nelle nostre case e che ci ha inevitabilmente spinto a consolidare il nostro legame con le immagini digitali, è impossibile pensare di comunicare al grande pubblico così come avremmo fatto prima che la rivoluzione digitale cambiasse la nostra società.

Occorre perciò intendere la tecnologia per quello che è, ovvero lo strumento dell’innovazione, un’innovazione da usare virtuosamente in modo da continuare a comunicare l’arte e i suoi valori anche nella società contemporanea e in modo da rafforzare le metodologie di studio e di ricerca ereditate dal passato.

di Olga Concetta Patroni

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