by Admin
0 comment

L’arte chiama! Dal telefono analogico  allo smartphone per una comunicazione partecipata

di Simonetta Baroni

All’origine era il telefono analogico: un apparecchio per trasmettere a distanza voci e suoni per mezzo della trasformazione delle vibrazioni acustiche in oscillazioni di corrente elettrica, costituito da un microtelefono composto da un trasmettitore e un ricevitore e da una cassa al cui interno si trovano congegni elettromeccanici[1]. Questo rivoluzionario strumento di comunicazione, che ha radicalmente modificato le relazioni sociali, è entrato nel mondo dell’arte del Novecento, rappresentato per l’estetica della sua forma ma anche per la sua funzione. Proprio quest’ultimo aspetto ha sollecitato l’interesse di alcuni artisti che hanno voluto sfruttare la comunicazione attraverso l’ascolto della voce. Tra questi significativo è il progetto, Dial-a-poem[2],  nato nel 1968 e terminato nel 1971, del poeta e performer newyorkese John Giorno (1936-2019)[3], che ideò un servizio di poesia pubblica, in cui era stata selezionata una raccolta enciclopedica di testi poetici, letti e scritti da importanti personalità del modo della cultura, che furono ascoltati, grazie all’uso del telefono analogico fisso, da oltre cinque milioni di persone. Questa innovativa operazione artistica venne presentata dal 1 novembre al 14 dicembre 1969 alla rassegna Art by Telephone[4] di Chicago. Questa modalità artistica permetteva di stabilire una relazione tra mezzi di comunicazione e fruizione di massa che sembra anticipare la nostra realtà ipertecnologica. Nel  2020 questo format di J. Giorno ha trovato una nuova versione nel servizio come app mobile della Nottingham Trent University e dell’Arts and Humanities Research Council

Proprio la capacità di far dialogare la tecnologia con la cultura umanistica diventa, in questo contesto, lo spunto per recuperare e ridare valore all’ascolto, sottraendo così l’opera dalla sua mera riproduzione visiva fotografica e virtuale. Nel rapporto concettuale tra la parola e l’oggetto artistico non si può prescindere dal contatto fisico con esso da parte del fruitore, che, non dovendo più recarsi in un luogo preciso per alzare un ricevitore per ascoltare o comunicare il proprio messaggio, può porsi di fronte all’opera, sperimentato quella ritrovata empatia inscindibilmente legata al recupero dell’unità percettiva dei nostri sensi. 

Inoltre bisogna tener presente che la voce umana associata alle parole si trasforma in un dirompente strumento di comunicazione. In ogni smartphone e anche nei telefoni digitali è presente l’opzione “viva voce”, che consente di comunicare dall’interno di un ambiente la conversazione anche ad altre persone che si trovano nel medesimo luogo, trasformando così la personale e circoscritta condivisione in un momento collettivo e relazionale. 

Questi sono alcuni aspetti che sono emersi analizzando la funzione del telefono all’interno di un’indagine artistica, affrontati e sviluppati nel 2019 anche nella mostra torinese Artissima Telephone[5]in cui si sottolinea come lo smartphone sia diventato “un device di intrattenimento e auto espressione”[6], una porta di accesso e di connessione costante alla rete, e abbia perso gradatamente la sua primaria ed esclusiva funzione di comunicazione vocale. 

Tra gli artisti presenti alla manifestazione torinese è interessante la figura di Francesco Pedraglio[7], di cui si analizzerà l’installazione, esposto al MACRO alla sezione Retrofuturo, dal titolo Maziar Firouzi, +39 02 8295 4344, realizzato nel 2020.2022, in cui per la sua completa fruizione è necessario chiamare il numero telefonico riportato nel titolo e inciso su una degli elementi scultorei che formano  la sua composizione. Digitando il numero telefonico è possibile ascoltare le storie narrate da Pedraglio  partecipando al  suo personale racconto suggerito dai luoghi evocati dalle  sculture, piccoli frammenti architettonici chiamati palcoscenici, teatri di avventure che se condivise acquistano, come precisa l’artista,  «un senso nella testa di chi ascolta o di chi guarda».

Questa operazione sembra puntualmente racchiudere quegli aspetti finora analizzati sottolineando le potenzialità comunicative dell’ascolto, come pratica estetica e non solo  informativa,  in rapporto all’opera d’arte e all’intervento del fruitore, che ha il compito di  attivare questo dispositivo.

L’opera è stata scelta e inserita nel percorso tattile-sensoriale, rivolto alle persone non vedenti e ipovedenti, dal titolo Racconto sensoriale al Museo per l’Immaginazione Preventiva: un percorso inclusivo[8], che comprende altri tre lavori[9] della Collezione del MACRO, ideato e realizzato durante il corso-laboratorio, Didattica Museale Inclusiva[10], promosso dall’Università di Roma Tor Vergata,  che si è svolto da ottobre-novembre del 2021 con la partecipazione di un gruppo di studentesse universitarie (Marina Baldari, Roberta Cristofari, Maria Gatti, Martina Marrocco, Benedetta Paris, Eleonora Turli, Alessandra Ulisse).

Bisogna ricordare che l’ascolto è una pratica che per le persone non vedenti è stata ed è ancora uno strumento indispensabile per conoscere il mondo circostante e che nella tradizione orale era associata a “moduli mnemonici…bilanciati a grande contenuto ritmico […] per un facile apprendimento e ricordo”[11]. Non distratti da immagini è possibile apprezzare il suono delle parole e riscoprire quella lentezza e “intimità” sensoriale che sembra ripetere i tempi lunghi necessari per una corretta esplorazione tattile. 

Pertanto, il racconto attraverso il telefono o smartphone, affidato esclusivamente alla voce, diventa un convincente ed efficace strumento di affabulazione, come ricordato anche dal titolo del libro di Gianni Rodari, Favole al telefono, scritto nel 1962.

Proprio la riconquista di questo modo di ‘toccare e sentire con le parole’ forse aiuterebbe a scongiurare il rischio dell’ incomunicabilità che l’uso compulsivo e la continua connessione con una dimensione virtuale globale provocano nella persona soggetta ad un estraniante isolamento, dimensione esistenziale suggerita anche da Michelangelo Pistoletto in una serie di opere  dal titolo Comunicazioni [12] in cui  l’uomo e la donna colti mentre  fissano lo schermo del cellulare concentrati nelle loro conversazioni ignorano le persone che attraversano il loro spazio specchiante.

È proprio dall’esperienza della mostra al MACRO che nasce questa riflessione, in cui   alcune esperienze artistiche sono diventate lo spunto per elaborare nuove strategie per avvicinare le diverse tipologie di pubblico all’arte. 

L’effettuare la chiamata e collegarla al sistema di una segreteria, permetterebbe di poter registrare diversi contenuti: dalle parole dell’artista, alle storie, ai testi descrittivi e informativi ma anche poesie, brani  letterari, musicali e teatrali, pre-testi per attivare la comprensione dell’oggetto attraverso molteplici livelli di lettura e stabilendo con esso sempre un contatto fisico. Questa formula comunicativa è applicabile in contesti artisti, territoriali e naturali e può rivelarsi a volte più efficace del QR in quanto digitare un numero telefonico, stampato  anche a caratteri aumentati per gli ipovedenti e in braille, permette un accesso facilitato a tutti, compresi i bambini. 

Pedraglio con le sue opere ha dimostrato come nei Musei questo sistema “parlante” possa rivelarsi coinvolgente e possa essere efficace anche per illustrare ai passanti le opere di Street Art raccontando le storie del territorio e dei suoi abitanti e per costruire un dialogo con gli spazi naturali.

È spesso trascurato il ruolo delle sedute in spazi museali e delle panchine in luoghi pubblici, parchi e giardini, che, concepite come luogo d’incontro ma anche di soste solitarie, diventano funzionali alla fruizione delle opere artistiche e naturali. 

Si ricordano le panchine realizzate da street artisti[13]; l’installazione romana del 2021 di Michelangelo Pistoletto che utilizza 100 panchine per rappresentare il simbolo del Terzo Paradiso; le panchine a tema letterario, artistico e quelle trasformate  in testimoni “colorati” di battaglie sociali[14]; le otto panchine, che nel 2011 il National Trust ha sparso in tutto il Regno Unito per il progetto «Bench Mate»[15] concepite per favorire un contatto con la natura, dotate di  un  dispositivo che  permettere a chi si siede di ascoltare cinque minuti la voce di personaggi celebri. Interessante questo ultimo progetto ma troppo invasivo, se per evitare  l’inconveniente di ascoltare le voci registrate si deve cambiare panchina. Rimane sicuramente più efficace l’uso del numero telefonico, che potrebbe essere riportato sulle panchine da usare esclusivamente se si vuole accedere ai contenuti registrati, affidando la scelta dell’interazione all’occupante.

Nei parchi giochi inoltre si potrebbero prevedere numeri telefonici da riportare su elementi ludici per incrementare l’ascolto di filastrocche e favole. 

Nei vari casi citati, questo semplice espediente tecnico potrebbe produrre quella rivoluzione culturale preannunciata negli anni Sessanta  proprio da J. Giorno.

[1] La voce “ Telefono” è tratta dal dizionario online Hoepli.

[2]  Alla nascita di questo progetto probabilmente contribuì anche l’incontro con uno dei  maggiori scrittori statunitensi, William Seward Burroughs ( 1914-1997),  vicino, come J. Giorno, al movimento della  Beat Generation. Il  progetto Dial-A-Poem venne installato per la prima volta nel gennaio 1969 all’ Architectural League di New York;  nel novembre dello stesso anno  trasferito al Museum of Contemporary Art di Chicago e nel luglio del 1970 al Museum of Modern Art di New York. L’installazione era costituita da quattro telefoni, ognuno contenente registrazioni di 80 poeti che leggono 200 poesie proposte in maniera casuale all’ascoltatore. Alcuni articoli  sull’argomento  pubblicati nel 2019 in occasione della scomparta dell’artista:: https://www.artribune.com/dal-mondo/2019/10/e-morto-a-82-anni-john-giorno-poeta-artista-e-attivista-americano/https://www.exibart.com/arte-contemporanea/si-e-spento-john-giorno-a-new-york-2; e nel 2020 /https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/a32902602/john-giorno-poesia/. Per approfondire:: Di Genova, Arianna, John Giorno, l’artista che regalava poesie al telefono, in  https://ilmanifesto.it/john-giorno-lartista-che-regalava-poesie-al-telefono

In  Italia questo dispositivo è stato allestito alla Galleria nazionale di arte moderna, in occasione della  mostra You got to burn to shine (febbraio-aprile 2019),  curata da Teresa Macrì, il cui titolo: Per risplendere devi bruciare, è ripreso dalla celebre raccolta di poesie di J. Giorno. 

[3]  John Giorno ebbe contatti con artisti della Pop Art. Oltre a Bob Rauschenber e  Jasper Johns, conobbe  Andy Warhol e frequentò il mondo della  Factory diventando  l’attore  di un suo film del 1963 dal titolo Sleep.

[4] La mostra di Chicago fu una manifestazione dedicata a M. Duchamp e a G. Cage e si ispirò  ai  “quadri telefonici” dell’artista ungherese  Laszlo Moholy-Nagy, che dettava al telefono a un fabbricante il progetto  per la realizzazione delle sue opere. 

[5] La mostra, curata da Vittoria Martini e ideata da laria Bonacossa, si è svolta  a Torino dal 31 ottobre al 3 novembre  nel  complesso industriale in  collaborazione con le OGR – Officine Grandi Riparazioni .

[6] Vedi: https://www.artissima.art/artissima-telephone/

[7] L’artista, nato a Como nel , 1981;, vive a Città del Messico. Lavora con la scrittura, la performance, il video e l’installazione. Le sue mostre personali più recenti sono state ospitate da: Norma Mangione Gallery, Torino (2019); Kettle’s Yard, Cambridge (2018); Museo Leonora Carrington, San Luis Potosí (2018). Tra le collettive si segnalano quelle ospitate da: Casa Tomada, Città del Messico (2018); Kunstverein Munich, Monaco (2017); PAKT, Amsterdam (2017). All’inizio del 2021 uscirà per Book Works (Londra) la collezione di testi performativi Battles (Vol. 1). Dal 2016 dirige il progetto editoriale Juan de la Cosa / John of the Thing insieme a Tania Pérez Córdova con cui nel 2018 ha pubblicato il libro Spoken Sculptures.Notizie tratte da: https://www.museomacro.it/it/retrofuturo/francesco-pedraglio-breve-storia-del-mostrare-e-dellessere-mostrati/

[8] Sito dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”: https://urania-artetecnologia.com/

[9] Margherita Raso, Untitled (2016), Ruth Beraha, I’ll tell you the story i know (2021, Gianluca Concialdi, Santissima pizzeria (2020).

[10] IL corso -laboratorio è da me condotto e rivolto agli studenti della magistrale.

[11] Walter J. Ong, Oralità e scrittura. La tecnologia della parola, Bologna, 2014 

[12]  Dal 22 al 24 settembre 2020   un gruppo di quadro della  serie Comunicazioni,è esposta  nella  Galleria Giorgio Persano nel  nuovo spazio all’interno del cortile di Via Stampatori 4 a  Torino.

[13]  Vedi: La via delle panchine parlanti realizzate nel novembre del 2020  dallo street artista  Massimiliano Bernardi secondo  un  progetto di riqualificazione del quartiere Montagnola di Roma.

[14] Vedi: le panchine rosse contro la violenza sulle donne.

[15] Vedi articolo: Marchetti, Simona, Le panchine che raccontano la naturaLe voci di attori e celebrità per rilassarsi all’aria aperta, 31 maggio 2011 in https://www.corriere.it/ambiente/11_maggio_31/panchine-parlanti-marchetti-regno-unito_7e505b48-8b98-11e0-93d0-5db6d859c804.shtml

You may also like