Arte e architettura del metaverso. Utilizzo della tecnologia e nuovi ambienti digitali.

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di Anna Maria Giovanna Scardigno

Con l’utilizzo delle nuove tecnologie si assiste all’introduzione di nuovi spazi architettonici, di nuove installazioni artistiche e di nuove modalità di relazione con il pubblico, sia nella vita reale che nel mondo virtuale. Come un flaneurintraprendo un viaggio in questi due mondi paralleli, forse non troppo distanti tra loro, esplorandone i confini e le intersezioni, contemplando le varie possibilità di espressione al fine di ritrovare un equilibrio, oppure rassegnarmi e perdermi nelle turbolenze dei nuovi mondi. Con sguardo attento e critico rivolto alle nuove strutture architettoniche e alle manifestazioni artistiche emergenti, mi addentro nei flussi della rete di internet per ritrovarmi in mondi digitali fantastici, a cartoon, pixelati e variamente colorati, a volte fin troppo realistici. 

Questi mondi immaginari, progettati da architetti, accolgono edifici, negozi, diversi musei e gallerie d’arte come il Museum of Crypto Art (MOCA) presente nel mondo di Somnium Space, la König Galerie o Sotheby’s nella piattaforma digitale di Decentraland o il San Francisco Museum of Modern Art e il Francisco Carolinum di Linz in Cryptovoxels. Gli spazi 3D, immaginati dagli architetti, sono condivisi dal pubblico virtuale e non isolati in un software di modellazione. 

In Decentraland esistono studi di architettura che progettano gli spazi virtuali per le imprese e i grandi marchi: spesso gli edifici virtuali sono copia degli stessi edifici presenti nel mondo reale, ed includono spazi espositivi progettati in relazione alle opere degli artisti, per far vivere esperienze immersive d’impatto basate sulle ricerche artistiche dell’autore. La fruizione delle opere avviene in maniera personalizzata, entrando in esse, per coinvolgere maggiormente il visitatore e creare immediatamente una relazione con l’artista stesso. 

Somnium SpaceDecentraland e Cryptovoxels rappresentano solo alcuni degli ambienti digitali virtuali condivisi da utenti interconnessi. Ancora in via di definizione e di non facile comprensione, in questi mondi è possibile acquistare terreni, costruire edifici e vendere arte digitale. Le transazioni, tra cui scambi di valute, vengono registrate in modo permanente in un database digitale, la blockchain o “catena di blocchi”, aperto a tutti. Le gallerie d’arte espongono e vendono opere d’arte digitale, beni digitali detti NFT, acronimo che sta per Non Fungible Token (in italiano “gettone digitale non replicabile”) collegati alla blockchain. Gli NFT consentono di autenticare l’originalità dell’opera d’arte creata dal singolo artista.

Figura 1. Interconnessioni tra mondo reale e virtuale

Tralasciando le riflessioni di carattere prettamente commerciale, anche se strettamente funzionale all’esistenza di questi mondi, rivolgo la mia attenzione allo spazio “costruito” o immaginato, al mondo virtuale, al metaverso. In realtà, non esiste ancora un vero e proprio mondo virtuale parallelo, quale può essere considerato il metaverso nella sua accezione più specifica, ma attualmente assistiamo alla nascita di piattaforme digitali, alcune strettamente basate su browser web e altre disponibili sia tramite browser che con visori in Virtual Reality. 

Ma cosa rappresenta il metaverso? A livello semantico, il termine metaverse nasce dall’unione della parola inglese “universe” (“universo”) e dal prefisso greco antico “μετα-” (“attraverso, oltre, dopo”); in tal modo, il termine propone un collegamento tra passato e presente. Stando alla sola etimologia, il metaverso sarebbe così “qualcosa che va oltre l’universo”, oltre la realtà contingente, quasi una nuova metafisica. Il termine fa riferimento al concetto di cyberspazioe metaverso, già introdotti dalla letteratura degli ultimi decenni del 1900. 

Il vocabolo è stato coniato da Neal Stephenson in Snow Crash (1992), libro di fantascienza cyberpunk, per descrivere una realtà virtuale condivisa online, dove i soggetti sono rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar che si muove liberamente tra bar, negozi e locali alla moda. Stephenson descrive il metaverso come un’immensa sfera nera di 65536 km di circonferenza, tagliata in due all’altezza dell’equatore da una strada percorribile anche su di una monorotaia con 256 stazioni, ognuna a 256 km di distanza. Su questa sfera ogni persona può realizzare tutto ciò che desidera, negozi, uffici, nightclub e altro, il tutto potenzialmente visitabile dagli utenti. 

È una visione futuristica quella di Stephenson, che descrive il metaverso con le seguenti parole: la strada illuminatarappresenta la Champs Elysees del Metaverso, soggetta all’espansione edilizia di imprenditori edili virtuali, che possono costruire case, parchi, strade private o speciali zone edilizie in cui vengono ignorate le regole dello spazio-tempo tridimensionale, aree di libero combattimento o spettacoli di luci proiettate verso l’alto. Il cielo e il suolo sono neri, come uno schermo di un computer su cui non sia stato disegnato nulla. È sempre notte nel metaverso e, con le sue luci brillanti, la strada rifulge come una Las Vegas libera dai vincoli della fisica e della finanza. Ma il quartiere di Hiro  protagonista della storia – è costruito con gusto. Le case sembrano vere. Ci sono alcune copie di Frank Lloyd Wright e alcuni bizzarri edifici vittoriani. La strada è larga 100 m, al centro è percorsa da una monorotaia-un software gratuito e di pubblica utilità che permette agli utenti di spostarsi sulla strada in modo rapido e fluido. […] Passando sotto la monorotaia c’è un edificio dalla base ampia, fin troppo sobrio per essere sulla strada: pare un lavoro mai portato a termine-una piramide nera e tozza senza la punta. Ha una porta sola: poiché tutto è immaginario, non ci sono norme che richiedono la creazione di un certo numero di uscite di sicurezza. Non esistono guardiani né cartelli, proprio niente che impedisca alla gente di entrare. Sopra la porta, incastonata nella facciata dell’edificio, c’è una semisfera metallica nera del diametro di circa 1 m. È la cosa più simile a una decorazione che vi si possa trovare. Sotto scolpito nella materia nera di cui è composto il muro si legge il nome di un locale: il Sole Nero. Non si tratta, dunque, di un capolavoro di architettura. Quando gli altri hacker hanno programmato il Sole Nero non avevano abbastanza soldi per assumere architetti o progettisti e, quindi, hanno optato per semplici forme geometriche[1].

In realtà il concetto di cyberspazio, come concetto astratto, era stato già anticipato da altri autori come Philip K. Dick, in testi dal titolo The Game Players of Titan (1963), The zap Gun (1963) e nel racconto We can remember it for you wholesale (1966). William Gibson in Neuromancer (1984) introduce il concetto di cyberspazio che definisce come: un’allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici. Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano.  

Philip Rosedale, il creatore di Second life, primo metaverso del 2003 della società americana Linden Lab, affermò di aver realizzato il metaverso ispirandosi proprio al romanzo di Stephenson: 

When Snow Crash came out, I was already really intent on the idea of creating a virtual world like Second Life — I had been thinking about it and doing what small experiments I could since I was in college. But Snow Crash certainly painted a compelling picture of what such a virtual world could look like in the near future, and I found that inspiring”[2](Quando è uscito Snow Crash, ero già molto orientato all’idea di creare un mondo virtuale come Second Life. Ci avevo pensato e avevo fatto quei piccoli tentativi da quando ero al college. Ma Snow Crash ha certamente dipinto un quadro convincente di come potrebbe essere un mondo così virtuale nel prossimo futuro, e l’ho trovato stimolante). 

Marco Cadioli, laureato in fisica e New Media Artist, ha viaggiato come un reporter in Second Life e ha raccontato la sua esperienza nel libro Io, reporter in Second Life[3] (2007) e in Internet Landscapes[4] (2009). Gli ambienti digitali descritti ben si allontanano dalle rappresentazioni del metaverso di Snow Crash, poiché più attrattivi e coinvolgenti, che si definiscono già per qualità sensoriali e fattori emozionali oltre che per la capacità di collaborazione tra gli utenti. 

Figura 1. Ville Spatial, esperimento ci città utopica in Second Life, immagine tratta dal libro “io, reporter in Second Life” di Marco Cadioli

Per meglio comprendere l’esperienza in Second Life, si riportano alcuni brani tratti dal testo:

A differenza di tutti gli altri mondi virtuali, la grande idea di Second Life è stata quella di lasciare liberi i residenti di costruire, senza offrire ambienti già precostituiti. Second Life si presenta quindi ai suoi inizi come una terra vuota dove i primi avatar si incontrano e discutono su come costruire sulla base di progetti collaborativi. […] La ricostruzione di una casa del ricordo mi colpisce moltissimo. È un’ulteriore sfumatura che si aggiunge alle mille ipotesi fatte su cosa possa servire una casa in Second Life, sulla funzione degli edifici. La definirei un’architettura emozionale. […] Le città nascono spesso sul calco di città reali, in un continuo rapporto tra ricostruzione del mondo reale e la libera reinterpretazione dello spazio virtuale, tra contenitori di eventi e veri luoghi di aggregazione, spesso suddivisi per lingua. […] L’agenzia Reuters ha aperto ufficialmente la sua sede in Second Life occupando un’intera isola, con un imponente edificio circolare. Nella grandissima Hall sono posizionati degli schermi sui quali scorrono le news, oltre a sale per conversazioni e incontri tra giornalisti, uffici. […] “Ville Spatial” è l’esperimento di costruzione della città utopica progettata da Yona Friedman negli anni 1950. Si tratta di una città costruita su tre livelli. Si sviluppa e viene creata dai suoi stessi residenti in base a regole condivise, ed è in grado così di modificarsi in base al mutare delle esigenze della comunità[5].

Recentemente lo studio di architettura Zaha Hadid Architects ha creato una città “cyber-urbana”, Liberland Metaverseche si pone come modello digitale di un territorio reale attualmente conteso tra Croazia e Serbia. Secondo i progettisti gli edifici della Liberland virtuale, potranno essere realizzati nella realtà fisica, in un preciso spazio fisico realmente esistente, accettato e condiviso da tutti.

Figura 3. Liberland Metaverse. Immagine tratta dal sito: https://www.domusweb.it/it/notizie/gallery/2022/03/15/liberland-la-citt-nel-metaverso-progettata-da-zaha-hadid-archite

Alla vastità dei mondi digitali si contrappone la nascita di esperienze individuali di artisti e gallerie, che creano spazi personalizzati nella rete o riutilizzano spazi esistenti per esporre le proprie opere digitali e pubblicizzare le proprie opere fisiche. Nel mese di maggio dello scorso anno ho potuto assistere, nel Metaverso di Spatial, all’inaugurazione della mostra “A Jump into the Universe” dell’artista, pittore e scultore italiano Cesare Catania, che ha esposto più di 40 pezzi d’arte, tra NFT e opere digitalizzate, tutte contenute in una galleria già precostituita. Da visitatrice ho apprezzato la possibilità di entrare in contatto con le opere dell’artista, attraverso pannelli descrittivi o video esplicativi, e di interagire in maniera immediata non solo con gli altri ospiti presenti all’evento ma con l’artista stesso! Una preziosa occasione per meglio comprendere i significati di ciascuna opera d’arte e riflettere sulla possibilità di condividere, all’interno di uno spazio virtuale, e nello stesso istante, un dialogo tra utenti reali.

Figura 4. Galleria Digitale di Cesare Catania nel Metaverso di Spatial visitabile al seguente link: https://www.spatial.io/s/Digital-Art-Gallery-of-Cesare-Catania-61ce1742dd67800001463006

Molte opere d’arte realizzate digitalmente si possono fruire esclusivamente nel metaverso e, collocate in questi “accattivanti” ambienti digitali, risultano essere “sperimentazioni” stimolanti per i visitatori. Per molti, il valore aggiunto nei musei digitali si individua nella capacità di offrire uno storytelling dell’opera d’arte, come video con artisti che spiegano l’opera, vecchi articoli o libri che hanno ispirato l’artista. A questo si aggiunge la possibilità, grazie alle applicazioni dell’Intelligenza Artificiale, di rilevare l’interesse, la percezione e le emozioni del pubblico dinanzi alle opere d’arte esposte. La tecnologia è, dunque, utilizzata in funzione della creazione artistica e come strategia museale, e diventa lo strumento che il Museo utilizza per avvicinare il pubblico alla comprensione e all’esperienza dell’arte e dei suoi significati.

Il mondo reale entra in contatto con il mondo virtuale digitale in uno scambio continuo di relazioni: ciò che è reale diventa virtuale (come gli utenti e alcune opere artistiche), e ciò che è virtuale diventa reale (come le recenti esperienze architettoniche). Inoltre, la distinzione tra contenuto e contenitore diventa sempre più indefinita come il confine, il perimetro o il recinto che non separano più, ma permettono lo scambio di flussi digitali e anche di emozioni. Il tutto è supportato dalle nuove tecnologie che costituiscono il mezzo per rappresentare ciò che viene immaginato dall’artista. 

Osservando tutte queste sperimentazioni da un punto di vista differente, ci si accorge che entrare nel mondo del metaverso può davvero farci immergere in un’opera d’arte o di architettura; lo stesso metaverso potrebbe essere considerato un’espressione artistica, poiché è stato creato e non esisteva prima. L’arte del metaverso può essere considerata un altro tipo di arte, ed è una sfida in continuo divenire.


[1] STEPHENSON N., Snow Crash, traduzione di Paola Bertante, Mondadori, 2022, p. 63.

[2] Si legga l’intervista integrale sul sito: https://freakonomics.com/2007/12/philip-rosedale-answers-your-second-life-questions/

[3] MARCO MANRAY CADIOLI, Io, reporter in Second Life, Shake Edizioni, 2007.

[4] Per approfondimenti, consultare: https://marcocadioli.com/texts/

[5] MARCO MANRAY CADIOLI, Io, reporter in Second Life, Shake Edizioni, 2007, p. 42.

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