I marmi Torlonia. Collezionare capolavori. La mostra a Villa Caffarelli

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di Sabrina Pasquale

Lo scorso anno l’attesissima mostra sui marmi Torlonia ha stupito tutti riscuotendo un enorme successo. Si parla della più grande collezione privata di statuaria classica conservata nel museo di famiglia a Roma fino al 1975, anno in cui il museo chiuse definitivamente le sue porte al pubblico. Le cronache raccontano che già nel 1947, l’archeologo Ranuccio Bianchi Bandinelli ebbe difficoltà a vedere la collezione, tanto che fu costretto a travestirsi da spazzino.

L’evento, curato da Carlo Gasparri e Salvatore Settis, è stato possibile grazie agli accordi tra il Ministero dei Beni culturali, oggi MIC, e la Fondazione Torlonia, che insieme all’attività dei curatori, restauratori, architetti e con il contributo della maison Bulgari, hanno realizzato un’occasione unica per fruire nuovamente di un immenso patrimonio per molto tempo lasciato nella semioscurità e per ricostruire le vicende del collezionismo romano. 

I curatori si sono domandati come potessero richiamare alla memoria quel museo, sorto nel 1875, in una mostra temporanea con degli spazi limitati a loro disposizione. In questo scrupoloso lavoro sono state scelte 92 opere su un totale di 620. Sono stati selezionati i pezzi che oltre a presentare un buono stato di conservazione, rispecchiassero maggiormente il collezionismo della famiglia Torlonia. Inoltre, la mostra è stata pensata in funzione della futura creazione di un nuovo museo Torlonia con sede a Roma, secondo gli accordi stabiliti nel 2016. Un primo passo, insomma, verso l’esposizione della collezione nella sua globalità. 

Salvatore Settis l’ha definita La collezione delle collezioni, perché in questa confluirono molti pezzi appartenuti ad altre famiglie. L’esigenza dei Principi nacque dalla volontà di affermare il proprio status sociale e consolidare quella dignità che trasformò questa famiglia, in meno di un secolo, da mercanti a potenti e nobili banchieri. Difatti molte collezioni furono acquistate, altre furono cedute dalle nobili famiglie in crisi a garanzia dei prestiti ottenuti dagli stessi Torlonia. A nostro beneficio, questo permise anche di legare parte della collezione alla città di Roma evitando la dispersione in altre corti europee.

I nuclei più antichi risalgono al Quattrocento e al Cinquecento. Questi marmi appartennero alle grandi famiglie dell’epoca: Cesi, Savelli, Cesarini e Carpi. Giovanni Torlonia acquistò anche l’intera collezione di marmi del restauratore Bartolomeo Cavaceppi morto nel 1799 e quelli appartenuti al marchese Vincenzo Giustiniani (1564-1637) nel 1825. La collezione Albani, insieme alla villa sulla Via Salaria, entrarono a far parte dei beni di famiglia a partire dal 1866 grazie all’abilità del principe Alessandro, il quale li aggiunse ai reperti rinvenuti durante le campagne di scavo nelle loro proprietà. 

Ad oggi gli eredi Torlonia detengono la più grande collezione privata di statuaria classica al mondo. Pietro Ercole Visconti che si occupò della stesura del catalogo nel 1876, già nella prima edizione descrisse la collezione come «un immenso tesoro d’erudizione e d’arte […] di gran lunga eccedendo i limiti d’ogni privata raccolta, più non trova paragone, se non solo nelle sovrane e pubbliche collezioni, che insigni sono nel Vaticano e nel Campidoglio». 

Il percorso del Museo alla Lungara era formato da 77 sale, di cui l’ultima era dedicata ai busti imperiali. Proprio con questi che Gasparri e Settis hanno scelto di aprire lo spazio espositivo a Villa Caffarelli al Campidoglio, per rievocare il museo fondato nel 1875.  

Il progetto espositivo è stato curato dal celebre studio David Chipperfield Architects di Milano, i quali ispirati dai curatori e dallo studio del catalogo redatto da Carlo Ludovico Visconti nel 1884, si sono dedicati con entusiasmo al progetto nonostante la Villa presentasse alcuni problemi strutturali. L’architetto Cristiano Billia ha lavorato costantemente con Settis e Gasparri per la realizzazione del progetto.

Le sezioni della mostra si sono contraddistinte per la varietà dei colori; le statue sono state poggiate su dei plinti grigio scuro per ricordare il tempio di Giove Capitolino, e non solo: questa tonalità di grigio intendeva rievocare il fondo nero delle fototipie dell’antico catalogo del 1884. Le pareti e i pavimenti più scuri hanno cercato di far percepire all’osservatore contemporaneo lo stesso punto di vista dei principi Torlonia e dei loro ospiti. Contrariamente alle fototipie e all’odierno catalogo, nei quali le statue si presentano prive di ombre su un fondo nero, con questo allestimento i più bei pezzi di statuaria classica hanno ripreso finalmente vita in un suggestivo gioco di luci ed ombre. 

La prima sala dedicata ai busti degli imperatori ed al Germanico, unica opera in bronzo, è stata caratterizzata da una parete color rosso pompeiano, come le sale dell’antico Museo Torlonia alla Lungara. Il percorso segue con una sala color terra di Siena, che rimanda agli scavi archeologici effettuati dalla famiglia presso le proprietà di Roma. Per la terza sezione della mostra è stato scelto il celeste chiaro, un colore che rimanda all’aria, molto amato nel Settecento, difatti, per queste sale sono stati scelti i pezzi settecenteschi provenienti dalla collezione dello scultore Cavaceppi e dalla Villa Albani, l’ultima residenza di campagna costruita per un cardinale romano che riecheggiava il fasto delle dimore imperiali, decorata da arredi di pregio con le fatiche di Ercole. La quarta sezione invece è stata rappresentata dalla celebre collezione Giustiniani: vi è inclusa la sala dell’Hestia Giustiniani, della Statua di caprone restaurato da Gian Lorenzo Bernini ed anche delle due Afroditi accovacciate del tipo Doidalsas. In questa sala, la scelta delle pareti color giallo sabbia con i plinti grigi ha risaltato il candore dei marmi, accuratamente restaurati per l’occasione, grazie al lavoro di Anna Maria Carruba ed al suo gruppo, mentre le luci, che dall’alto si propagano, sottolineano il plasticismo della materia. 

Negli scatti di Oliver Astrologo per la Fondazione Torlonia è stato possibile osservare come i faretti, posti in alto al centro, orientati per far cadere la luce diagonalmente sulle statue, hanno creano un’alternanza di luci e ombre che ci ha reso partecipi come in una sacra conversazione. Come nel caso del gruppo dei Due coniugi nel gesto della dextrarum iunctio, provenienti dalla collezione Giustiniani o di fronte alla divinità Hestia che sembra esortarci con il gesto della mano, mentre la sua ombra si allunga nell’emiciclo che l’avvolge.

Andando oltre, si incontra un ambiente di color verde giardino, per il quale sono state scelte le opere acquisite dalle famiglie Savelli, Cesarini e Carpi e la famosa Tazza Cesi, che era conservata in Trastevere nel corso Quattrocento. L’idea è stata quella di rievocare gli ampi giardini dove era possibile vedere questi pezzi di antichità. Basti pensare al disegno del giardino Cesi di Maarten van Heemskerck del 1535, opera che ritroviamo nei disegni del Kaffeehaus di Villa Albani nel Settecento.  

Molti studiosi hanno apprezzato l’epilogo di questo percorso espositivo all’interno della sala dell’Esedra del Marco Aurelio, all’interno dei Musei Capitolini. Una soluzione che è stata fortemente voluta dai curatori, con la collaborazione del Direttore dei Musei Capitolini, il quale per l’occasione ha riunito i bronzi capitolini per celebrare il 550° anno dalla donazione di questi da Papa Sisto IV nel 1471 e per esaltare la restituzione dei marmi Torlonia al pubblico. 

I saggi, le fonti documentarie e le note di restauro nel catalogo, edito da Electa, sono stati accompagnati dalla campagna fotografica realizzata da Lorenzo De Masi. Gli scatti delle statue su un fondo nero sono stati un tributo alle fototipie ottocentesche.