Il diritto alla bellezza: contro gli eccessi e gli usi impropri delle luci artificiali.

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Il diritto alla bellezza è stato l’argomento su cui è intervenuta la storica e critica d’arte Marina Cafà al Teatro Civico di Vercelli (il 25 giugno 2023) e al Jardin de l’Ange di Courmayeur (il 1 luglio 2023), in occasione della manifestazione Passo a due. Uno spettacolare racconto multimediale tra danza, musica e conversazioni con esperti, che ha avuto l’obiettivo di sensibilizzare al tema della fragilità del nostro pianeta, per “ricucire”, attraverso l’arte, il rapporto ed il rispetto perduto tra la natura e l’essere umano.

“Con il suo potentissimo linguaggio, l’arte diventa ambasciatrice del diritto alla bellezza ed invita tutti noi a riflettere sui valori che abbiamo perso nella contemporaneità”, ha osservato la Cafà, che ha presentato ai numerosi partecipanti alcune riflessioni sull’inquinamento luminoso del cielo notturno e sull’illuminazione delle opere d’arte che, nella maggior parte di musei, gallerie d’arte, chiese ed altri luoghi della cultura, appare impropria ed antistorica.

Durante la conversazione dedicata alla Danza per un cielo fragile (di cui sono stati interpreti protagonisti Mick Zeni, già primo ballerino del Teatro alla Scala di Milano, e Giulia Schembri, ballerina del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala di Milano), con gli esperti Andrea Berganozzi, ricercatore all’Osservatorio astronomico della Valle d’Aosta, e Andrew Rippon, smart city director della The Royal Commission for AlUla, Marina Cafà ha esposto alcune considerazioni in parte condivise in un articolo già pubblicato per Urania Arte-tecnologia e durante un seminario organizzato (nell’aprile 2023) per gli studenti del Master Universitario di II livello (presieduto e coordinato dal Prof. Carmelo Occhipinti) in Nuove tecnologie per la comunicazione, il cultural management e la didattica della storia dell’arte: per una fruizione immersiva e multisensoriale dei Beni Culturali, al quale ha preso parte anche Daniela Tricerri, coreografa e ballerina, che ha descritto i valori del progetto di sostenibilità ambientale “Passo a due” da lei ideato (il progetto, basato sul concetto di relazione tra l’uomo e la natura – come nella danza, infatti, il “passo a due” avviene tra una coppia  –, è stato presentato all’EXPO DUBAI 2020 e a Roma durante gli “Stati Generali della Cultura” (Palazzo Bonaparte, giugno 2022).

“È proprio la particolare sensibilità degli artisti – ha osservato la Cafà – che spesso stimola il risveglio delle coscienze, ponendo innanzi ai nostri occhi le dissonanze della realtà e indicandoci, allo stesso tempo, la direzione per ristabilire l’armonia con noi stessi, che si riflette in modo inevitabile nel rapporto con gli altri esseri umani e con l’ambiente in cui viviamo. Le luci del progresso e della modernità ci hanno sempre più allontanato dall’esperienza della notte; la luce naturale di stelle e galassie è stata rimpiazzata dalla luce artificiale che, oltre a rubare la bellezza della notte, sta eliminando il buio, elemento fondamentale per il benessere di esseri umani e di piante. La Dichiarazione Universale dei Diritti delle Generazioni Future (approvata dall’UNESCO nel 1997) ha stabilito che le persone delle generazioni future hanno il diritto a una Terra indenne e non contaminata, includendo, quindi, il diritto a un cielo puro, ed iniziative come SEEING STARS, promossa dal designer olandese Daan Roosegaarde, in collaborazione con la commissione olandese per l’Unesco che, nel dicembre del 2021, ha visto la cittadina olandese di Franeker spegnere tutte le luci artificiali per godere della meraviglia del cielo stellato, o come DANZA PER UN CIELO FRAGILE, ideata da Tricerri, prendono le mosse proprio da artisti”.

“Il tema del diritto alla bellezza mi sta molto a cuore – ha spiegato Marina Cafà – e, come storica dell’arte, ho iniziato ad approfondire la questione dell’inquinamento luminoso del cielo notturno partendo da alcune riflessioni sull’illuminazione delle opere d’arte espresse dal Prof. Carmelo Occhipinti che quest’anno, all’Università di Roma Tor Vergata, ha inaugurato il primo insegnamento in Italia di Filologia e storia della fruizione artistica, basato sui diversi modi di percepire le opere d’arte in base all’illuminazione che esse ricevono. Oggi nella maggior parte di musei, gallerie d’arte, chiese, o altri luoghi della cultura, l’illuminazione si presenta impropria, antistorica ed irrispettosa delle intenzioni con cui gli stessi artisti avevano concepito le loro opere: «quando si accende un faretto – sostiene il Prof. Occhipinti – paradossalmente si spegne la storia!». È vero che la nostra sensibilità cambia nel corso del tempo, e che ciò si riflette nei nostri modi di percepire e di vedere le opere d’arte, come è vero che la percezione che abbiamo delle opere d’arte dipende moltissimo dal tipo di illuminazione che viene utilizzata”.

“Per fare un esempio – ha proseguito la Cafà – nei musei spesso la luce viene distribuita in modo uniforme sulla superficie delle opere, e questo fa sì che l’immagine di un dipinto si percepisca appiattita, come se non ci fosse alcuna differenza tra il vedere l’opera all’interno di uno spazio museale o sul monitor di un pc o sulla pagina di un libro, proprio perché la luce uniforme annulla la corporeità delle figure rappresentate, che perdono quella profondità che, attraverso i chiaroscuri, gli artisti – che ben conoscevano il modo migliore per illuminare le loro opere! – volevano che i loro fruitori percepissero”.

“Non poter godere della bellezza di un’opera d’arte a causa di questo tipo di illuminazione, eccessiva e antistorica, come il non poter ammirare, con stupore rinnovato, la meraviglia del cielo stellato, corrisponde alla privazione di un diritto” – ha affermato la storica dell’arte nel corso del suo intervento –. “Tutti i capolavori della storia dell’arte, infatti, sono nati per essere visti non alla luce, ma al buio! L’arte nasce nel buio delle caverne preistoriche, dove hanno preso forma i primi graffiti ed incisioni rupestri, che venivano illuminate dalla fiamma dinamica, ondeggiante, del fuoco, che aveva la capacità di far sembrare in movimento le figure rappresentate. Pensiamo anche alle sculture in bronzo che erano poste nelle celle dei templi della classicità, illuminate da fiaccole o torce; il bronzo ha una straordinaria capacità di reagire alle sollecitazioni della fiamma, e nell’oscurità sembra acquistare vita, proprio come il marmo. Per questo motivo, Antonio Canova raccomandava di osservare le proprie sculture a lume di candela. E così fu per tutto l’Ottocento, e le sue opere furono considerate come fatte di carne viva. Ma quando i suoi del Canova furono sottoposti alla luce di faretti elettrici, il critico d’arte Roberto Longhi nella metà del Novecento non poté fare a meno di percepirli come algidi e privi di vita (nel Viatico per cinque secoli di pittura veneziana del 1946, lo storico piemontese considerava Canova come un artista «nato morto il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia e il resto non so dove»). Questo radicale capovolgimento di giudizio sulle opere del Canova era una conseguenza del cambiamento di illuminazione delle opere che, appunto, generava una diversa modalità di percezione”.

“Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un incremento di mostre e di allestimenti espositivi che mirano alla creazione di effetti di tipo immersivo e al coinvolgimento dei visitatori in esperienze di fruizione nella semioscurità. Nella Gypsotheca di Possagno con le opere del Canova, ad esempio, stanno riscuotendo molto successo le visite notturne a lume di torcia, che rievocano quella consuetudine di visitare i musei la notte che era tanto diffusa nella Roma del Settecento. Esperienze di questo tipo, coerenti con la storia (senza entrare nel merito di altre iniziative discutibili, poiché meno rispettose della storia), costituiscono la prova del cambiamento di sensibilità che è in atto; a livello inconscio, infatti, sentiamo sempre più nostalgia del buio, come testimoniano, del resto, anche le iniziative DANZA PER UN CIELO FRAGILE e SEEING STARS”.

“Recuperare la dimensione del buio, con la possibilità di tornare a contemplare il firmamento notturno è sintomatico del bisogno che sentiamo di riconnetterci con la parte più profonda del nostro essere – ha concluso la Cafà –; quando alziamo gli occhi al cielo, ciò che proviamo è un desiderio di infinito e, in effetti, la scienza ha dimostrato che siamo fatti di polvere di stelle. Come diceva l’astronomo newyorkese Carl Sagan: «noi siamo l’incarnazione locale di un cosmo cresciuto fino all’autocoscienza. Abbiamo incominciato a comprendere la nostra origine: siamo materia stellare che medita sulle stelle».

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