Concretamente virtuale. La manifattura digitale come strumento di studio, integrazione, conservazione e fruizione delle opere d’arte

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di Marco Betti

L’avvento della tecnologia moderna, com’è noto, ha segnato una svolta decisiva all’interno della storia dell’umanità. Come riporta Renato De Fusco in Linguistica, semiotica e architettura (2019, p. 60), il concetto di τέχνη è molto antico e, nel mondo classico, era usato per indicare il prezioso dono fatto dagli dei all’uomo per sopperire alla sua innata pochezza. Visto, quindi, che l’essere umano è per sua natura limitato, la conoscenza tecnica, a differenza di quanto accadeva per divinità come Minerva, è ben lungi dall’essere arrivata a un livello ottimale e ancora oggi infatti è una materia in costante evoluzione.

Dalla scintilla rubata da Prometeo alla realtà aumentata, l’uomo ha sempre utilizzato la tecnologia, intesa in senso lato, in tutti i campi della propria esistenza, talvolta applicando e adattando le scoperte inizialmente pensate per un settore ad altri: per esempio, le strumentazioni utilizzate per la diagnostica medica si sono poi rivelate strumenti indispensabili anche per la salute delle opere d’arte.

Sulla scia di queste riflessioni, nel presente contributo verrà brevemente accennato a un fenomeno relativamente recente nel mondo dei beni culturali, vale a dire l’utilizzo della tecnologia 3D.

Analogamente a quanto sopra indicato, il rilievo 3D, da elemento importante e ricorrente nei campi dell’architettura e dell’ingegneria, fu applicato al settore beni culturali, dapprima in particolare alle sculture per poi estendersi fino alle superfici dipinte. Con il passaggio da un settore all’altro giocoforza la tecnica del rilievo 3D è stata adattata in base alle esigenze e, via via, si è avuto una sempre maggiore definizione e precisione dell’acquisizione dei dati, permettendone, così, l’utilizzo per diverse casistiche e per molteplici scopi.

Ancora oggi, però, la tecnologia del rilievo e della restituzione formale di oggetti tridimensionali non è universalmente considerata strumento utile per il mondo della conservazione delle opere d’arte: nonostante infatti negli ultimi anni l’elaborazione dei dati e la stampa 3D siano stati più frequenti, andando a studiare i casi si noterà che si tratta quasi sempre di progetti straordinari e casi studio singoli ed emblematici con il denominatore comune degli elevati costi di realizzazione.

L’utilizzo della manifattura digitale si caratterizza oggi come una metodologia innovativa, sostenibile e reversibile; con l’excursus che seguirà tenteremo di mostrare quali e quante siano le potenzialità di questo mezzo, non solo nell’ambito del restauro ma della storia dell’arte in generale.

In tal senso, il caso del San Giovannino di Úbeda è emblematico: la scultura in marmo – attribuita al giovane Michelangelo Buonarroti, donata nell’estate del 1537 da Cosimo I de’ Medici a Francisco de Los Cobos e da quest’ultimo fatta collocare in Andalusia, nella Sacra Capilla del Salvador di Úbeda – fu gravemente danneggiata nel corso della Guerra Civile Spagnola del 1936.                         

Le riflessioni sulle modalità da adottare per il recupero e la restituzione dell’opera furono complesse e lunghe (per l’intervento conservativo, durato quasi due decenni, si rimanda alla pubblicazione monografica Il San Giovannino di Úbeda restituito, Firenze 2014); quel che ci preme sottolineare in questa sede è come l’utilizzo delle integrazioni al marmo, modellate in 3D e poi stampate in materiale sinterizzato molto resistente alla corrosione e all’umidità, consentano una piena leggibilità dell’opera, nel rispetto dell’istanza estetica e di quella storica, di memoria brandiana. Le parti aggiunte, inoltre, oltre ad essere facilmente distinguibili dai frammenti originali, sono assolutamente reversibili: i prototipi integrativi, infatti, sono montati con l’uso di magneti, così da risultare facilmente amovibili in qualsiasi momento.

Non solo nelle sculture lapidee, le applicazioni della tecnologia 3D sono state utilizzate con successo anche in quelle fittili, com’è il caso della ricostruzione delle mani della Maddalena penitente tardo-quattrocentesca dell’Istituto degli Innocenti di Firenze: anche in questo caso, dopo l’acquisizione digitale tridimensionale della superficie dell’opera, è stata effettuata la modellazione virtuale e, dopo alcune prove via software, sono stati stampati i prototipi in 3D e uniti alla scultura tramite calamite.

      

Confronto fra l’immagine tridimensionale e l’immagine reale con le mani prima del rivestimento (foto OPD)

Si possono fare esempi anche per sculture lignee e, come accennato all’inizio, per superfici dipinte: in quest’ultimo caso, il rilievo 3D costituisce un utile supporto di indagine non invasiva che permette di studiare lo stato di un’opera e monitorarlo nel tempo, svelando anche dettagli difficilmente rilevabili con l’ispezione visiva. 

Le scansioni e le stampe digitali tridimensionali sono state e vengono utilizzate non solo per la documentazione e il restauro, ma anche al servizio di una migliore inclusione e fruizione: sempre più diffuse sono le fedeli repliche delle opere d’arte all’interno di percorsi tattili; in questa sede menzioniamo il caso dei busti di Vincenzo Gemito in scala 1:1 nelle Gallerie d’Italia in Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli poiché hanno la particolarità di non essere stati fabbricati in stampa 3D dopo la scansione e la modellazione 3D, bensì sono stati realizzati con la tecnica della fresatura digitale.

Repliche di tre busti bronzei di Vincenzo Gemito nelle Gallerie d’Italia in Palazzo Zevallos Stigliano di Napoli (foto sito Tactile Studio)

Vorremmo concludere questo intervento trattando di un ulteriore, interessante utilizzo della tecnica del rilievo e della elaborazione dati 3D digitali. È ben noto che la musealizzazione di molte attività d’arte, se da un lato ha permesso una maggiore fruibilità dei manufatti, dall’altro li ha giocoforza decontestualizzati, allontanandoli dai luoghi per i quali erano stati pensati e creati. Quasi mai c’è la possibilità o la volontà di riportare le opere alla loro destinazione originaria – nonostante una recentissima, seppur ancora molto blanda, controtendenza – pertanto, avendo l’opportunità di scansionare un bene, elaborarne l’immagine acquisita e stamparla con materiali leggeri, si può riuscire, sia in modo temporaneo che permanente, a porre rimedio a questa situazione.

A tal proposito, è esemplificativo il caso del Dio Fluviale, grande modello in terra cruda modellato da Michelangelo intorno al 1524, oggi conservato presso l’Accademia delle Arti e del Disegno.

Dio Fluviale, Michelangelo Buonarroti, Firenze, Accademia delle Arti e del Disegno

L’opera è il modello per una statua lapidea destinata alla Sagrestia Nuova della chiesa di San Lorenzo a Firenze: tuttavia, a causa della partenza di Michelangelo per Roma nel 1534, la scultura in marmo non venne realizzata e il modello, dopo essere entrato nelle collezioni medicee, venne regalato a Bartolomeo Ammannati e, da questi, a sua volta fu donato all’Accademia delle Arti e del Disegno.

In occasione del restauro (2017) furono eseguiti dei rilievi dell’opera mediante scanner a luce strutturale e, successivamente, ne fu realizzata traduzione fisica in resina stereolitografica. Ottenuta la replica in resina, quindi, sono state fatte delle prove di posizionamento nella Sagrestia Nuova, per capire quale fosse la sua destinazione originaria, operazione non realizzabile con l’originale, a causa dell’estrema fragilità della materia del modello michelangiolesco.

In chiusura, considerando i casi accennati, riteniamo dunque che il connubio arte e tecnologia possa portare a risultati virtuosi nei settori della conservazione, dello studio e dell’inclusione quando c’è una seria progettualità di fondo, e che possa costituire un utile strumento sia per gli addetti ai lavori che al grande pubblico avendo sempre ben presente, però, la sostanziale differenza fra originale e replica.

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