di Giulia Bandini
In un periodo storico che ha visto la chiusura di musei e teatri, l’universo digitale ha permesso l’accesso a luoghi ed eventi culturali anche a distanza. Una delle forme d’arte che è riuscita a creare un legame tra il mondo fisico e quello virtuale è proprio la videoarte. Le sue opere sono ideate per gli schermi, arrivando direttamente alle persone attraverso televisori, computer ed internet.
Questa forma d’arte si è sviluppata con la nascita dei televisori e videoregistratori a partire dagli anni Sessanta. Il luogo che segna l’avvio ufficiale della videoarte è la Galerie Parnass di Wippertal, in Germania. Qui nel 1963 vengono esposte le opere di due artisti: Nam June Paik (1932-2006) e Wolf Vostell (1932-1998). Paik utilizza lo schermo della Tv come fosse la superficie di una tela, elaborando immagini «con la precisione di Leonardo, la libertà di Picasso, il colore di Renoir, la profondità di Mondrian, la violenza di Pollock e il lirismo di Jasper Johns». Non solo utilizzò il monitor come fosse un vero e proprio oggetto d’arte, ma comprò anche una videocamera portatile, il port-pack della Sony, con cui realizzò i suoi primi video, tra cui Café Gogo, 152 Blicker Street, October 4 and 11. Paik nasce come musicista sperimentale dedito alla dodecafonia e alla musica elettronica. Importanti i suoi incontri con Jhon Cage e Charlotte Moorman, musicista e performer. Con la Moorman la musica-azione di Paik diventa provocatoriamente sensuale, dando vita ad opere come Tv bra for living sculpture del 1969 (fig. 1), in cui la Moorman suona il violoncello nuda, con due televisori sul seno, e Tv-cello del 1971 (fig. 2), in cui suona il violoncello fatto di televisori i cui schermi trasmettono, a loro volta, una registrazione della Moorman.
Così Paik crea una stretta relazione tra la videoarte e le arti performative. Famose sono poi le video-installazioni multi-monitor di Paik, che consistono nell’assemblaggio di numerosi apparecchi Tv, suoni, immagini, parole e oggetti creando sculture in cui emerge una contaminazione dei linguaggi visivi. Esempio ne è la sua installazione Fin the siècle II, in cui assembla 201 apparecchi televisori e 4 dischi laser (fig. 3). Le parole di Paik «la pelle umana non è più adatta a interagire con la realtà. La tecnologia è diventata la nuova membrana del nostro corpo in relazione con l’esistenza», sono contestualizzabili al periodo della pandemia quando la tecnologia è stata un’importante mezzo di comunicazione e ha permesso all’uomo di interagire con la realtà.
Non si può parlare di videoarte senza citare Bill Viola che dopo due anni, da quando a causa della pandemia c’è stata la chiusura dei musei, arriva a Roma in mostra a Palazzo Bonaparte dal 5 marzo al 26 giugno 2022. Le video-installazioni dell’artista newyorkese portano lo spettatore in un viaggio interiore di estrema intensità che narra quelli che possono essere definiti i viaggi più intimi e spirituali dell’artista attraverso il mezzo elettronico. Per Bill Viola «l’aspetto fondamentale del video non sono solo le immagini, per quanto possiamo meravigliarci di come possono essere manipolate digitalmente… la sua essenza, a mio avviso, è il movimento, cioè quel qualcosa che esiste in un momento e si trasforma il momento dopo». Così su grandi schermi crea video caratterizzati da un estremo rallenty, in modo da proiettare lo spettatore in un’altra dimensione creando un effetto ipnotico. Attraverso questa forma d’arte Bill Viola esplora temi universali quali la nascita, la morte e l’amore ispirandosi a religioni e culture diverse come il buddismo Zen e il sufismo, ovvero la dimensione mistica dell’Islam. La mostra, prodotta e organizzata da Arthemisia con la collaborazione di Kira Perov, moglie dell’artista e direttore esecutivo del Bill Viola Studio, presenta 15 lavori dell’artista a partire dal 1977-9 con The Reflecting Pool fino alla serie Martyrs del 2014 (Fig.4). Non vi sono nuove installazioni ma tutte opere già conosciute e messe in rapporto con i saloni, ricchi di affreschi e stucchi, di Palazzo Bonaparte.
Tra arte, multimedialità e teatro si colloca l’opera di Studio Azzurro, un centro di sperimentazione artistica e produzione video fondato nel 1982 da Fabio Cirifino (fotografia), Paolo Rosa (arti visive e cinema) e Leonardo Sangiorgi (grafica e animazione). Questo gruppo crea video-ambientazioni dove l’immagine si libera e fluttua in numerosi schermi. La videoinstallazione Il giardino delle cose del 1992 (Milano, XVIII Esposizione internazionale Triennale) consiste in sei programmi video sincronizzati su 18 monitor. Contemporaneamente compaiono diverse mani che nel buio, filtrate da un dispositivo ad infrarossi, appaiono come silhouettes bianche. Le mani toccano lentamente oggetti diversi e il calore corporeo si trasferisce in parte agli oggetti freddi, visualizzandone le forme. La semplice azione del “toccare” conduce al “vedere” e permette l’accesso a un diverso livello di realtà.
Altra importante videoartista è la svizzera Pipilotti Rist, fortemente influenzata da Paik. Nata nel 1962 con il nome di Elisabeth Charlotte Rist, il nome Pipilotti deriva dalla combinazione del personaggio Pippi calzelunghe e Lotti, il soprannome dell’artista quando era bambina. Le sue opere sono colorate, divertenti, espressive e capaci di entrare in relazione con il grande pubblico. Sono una sorta di video musicali in cui esagera la saturazione dei colori, distorce le immagini ed inserisce suoni e musica. La sua opera di successo è I’m not the girl who misses much del 1986 (Fig. 5), una critica femminista del corpo femminile nella cultura pop.
Sullo schermo c’è una donna sfocata, con i capelli castani, con un rossetto rosso che si allontana e si riavvicina dallo schermo meccanicamente. La donna canta ripetutamente una frase, I’m not that girl who misses much, I’m not that girl who misses much, muovendosi velocemente, vestita con un completo nero e il seno scoperto. Il suono è fastidioso e l’immagine distorta. I’m not that girl who misses much è la prima frase della canzone Happiness is a warm gun dei Beatles. John Lennon lesse questo titolo su un articolo di una rivista pubblicato negli anni ’60, La felicità è un’arma bagnata. La frase gli sembrò così «fantasticamente folle», che volle ricopiarla e inciderla su un disco, forse come protesta. Rist utilizza la prima frase della canzone nella sua opera, forse anche lei come protesta.
La videoarte oggi si manifesta attraverso diversi mezzi, arrivando fino agli ambiti della realtà virtuale, ovvero nei videogame e nelle applicazioni degli smartphone. Negli ultimi anni, soprattutto durante il periodo della pandemia nel 2020, musei e gallerie hanno investito nello sviluppo di nuove tecnologie e hanno ricorso a digitalizzare mostre e conferenze per ovviare alle difficoltà dei lockdown. Il potenziale della videoarte in questo momento storico è stato colto da musei come il Whitney museum of american art di New York, che ha trasmesso le opere di diversi videoartisti e personaggi come la collezionista tedesca Julia Stoschek che ha condiviso online più di settanta video opere della sua collezione che comprende oltre 860 opere di 282 artisti degli anni Sessanta e Settanta. Le opere della sua raccolta comprendono video, film, installazioni di immagini in movimento a canale singolo e multicanali, ambienti multimediali, performance, suoni e realtà virtuale. La fotografia, la scultura e la pittura completano la sua collezione caratterizzata da una sempre maggiore convergenza tecnologica e da un approccio interdisciplinare. Il suo obiettivo, dice, «è quello di rendere l’arte accessibile a tutti, sempre e ovunque». La pandemia ha obbligato il mondo dell’arte ad utilizzare Internet come l’unica vetrina possibile. Se nel 2019 le vendite di arte online erano stazionarie, nella prima metà del 2020 Christie’s, Sotheby’s e Phillips hanno fatturato 370 milioni di dollari, oltre cinque volte di più rispetto al 2019. Non solo le case d’asta ma anche i musei e le gallerie si sono inseriti nel mondo dell’arte online. Sono state create molte visite virtuali come ad esempio la piattaforma Arts&Culture di Google che permette di visualizzare online le mostre di numerosi musei di tutto il mondo tra cui il Moma di New York, il Musée d’Orsay di Parigi e la Galleria degli Uffizi a Firenze. Per quanto riguarda i Musei Vaticani di Roma e il Louvre di Parigi è possibile accedere alle visite virtuali direttamente dai loro siti.